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sabato 7 dicembre 2013

La fiducia in se stessi


Oggi Assunta mi raccontava della sua esperienza automobilistica. Assunta e’ una ragazza un po’ tozzetta, non proprio ben fatta ecco, una donna alla quale Madre Natura aveva garantito per il resto della vita un fisico abruzzese: fianchi larghi, seni piatti e viso squadrato, capelli neri lisci e dritti come spaghi. Insomma, non proprio una tipetta attraente, e a dir tutta la verita’ neanche tanto simpatica, un po’ omologata, ama il rosa e ha degli occhialetti piccoli piccoli che uuuf. Ma comunque, mi stava dicendo della sua esperienza automobilistica.
“L’esaminatore mi ha fatto fare di tutto, siccome era notte non mi ha portato sull’autostrada perche’ c’era poco tempo, ti dico, sono arrivata alle sei l’esame era alle sei e mezza, e poi c’erano altri dietro di me, e quindi, mi ha fatto fare tutte le stradine pero’! Le curve difficiliii, a San Cosmo e’ pieno di questa roba, dove vivo io. Eeeh… poi mi ha fatto fare gli stop, il parcheggio, il traffico sulla Tiburtina un casino non ti dico, e poi vabbe’, la partenza in salita… che poi la partenza in salita secondo me mi ha aiutato. Perche’ io stavo la’ e premevo premevo il piede sull’acceleratore ma mica andava, e mi stavo a impanica’ coi freni… secondo me ha accelerato lui, mica ce la facevo."
“Guarda Martina che non ce l’ha il pedale dell’acceleratore, l’esaminatore.” Mi guarda stupita, uno sguardo tra l’incredulo e l’euforico, con qualche accenno di vuoto. “Ce l’hai fatta da sola!”
“Ahh.”
“Brava!”
“Grazie! Eh. Eheh.”

lunedì 25 novembre 2013

Oggettivare

Aveva conosciuto una ragazza. La chiameremo Giulietta. Giulietta aveva i capelli lisci e mori e gli occhi marroni, e aveva dei piccoli brufoletti sulle guance. Sorrideva furba e aveva delle opinioni. Aveva opinioni su tutto: dal rossetto rosso alle scarpe laccate, alle scarpe di pelle ai candidati alle primarie del principale partito politico di centrosinistra. Amava leggere, scrivere e far di conto. Ascoltare musica, metal britannico e indie rock italiano. Era alta piu’ o meno sul metro e sessantacinque, con poco seno ma con un gran cappotto rosso a coprirlo. Le piacevano i maglioni e le sciarpe, e aveva fatto danza classica. All’Accademia Nazionale. Solo che poi aveva mollato, voleva fare la politica e studiare sociologia. Era una ragazza attiva. Sperava che fosse anche curiosa. Era piu’ piccola di lui, di un anno, ma le distanze non erano insopportabili. O rilevanti. Adesso la stava oggettivando, scrivendone. Serve a questo, scriverne: fissare le persone e i ricordi nel tempo, esorcizzandoli, sacralizzandoli, alienandoli, forse perdendoli. Ma lui non voleva abbandonarsi alla sua propria dimensione tragica, in quanto non ce n’era alcun bisogno. “Chi pensa di perdere e’ sconfitto in partenza”, diceva Napoleone, non che gli fosse molto simpatico, Napoleone, pero’ certo era uno autorevole, tanto che non viene mica ricordato per le vittorie, ma per le poche volte in cui e’ stato sconfitto. Lui sperava tanto che lei fosse una persona curiosa, una di quelle che si mette in gioco, pero’ anche una ragazza che, in segreto, provasse a tendere al sublime, un sublime assolutamente terreno e sensista, ma aereo nella sua essenza. La conversazione per l’uscita per l’indomani a causa della quale si sentiva ansioso e quindi bisognoso di scrivere era avvenuta nella maniera piu’ normale e indolore, quindi in una maniera a suo modo completamente nuova. Vogliamo vederci? Si, alle 16. Alla stazione? Si. Ti piace leggere? Adoro leggere. Quindi si andava in libreria, a sentire gli scaffali respirare, poi chissa’, un caffe’, un negozio di dischi. Avrebbe dovuto regalarle qualcosa? Presentarsi con un regalo sarebbe senz’altro stato eccessivo. Pero’, se le piaceva qualcosa, non si sarebbe risparmiato a comprarlo. Il potere monetario stranamente non gli mancava, gestiva bene la sua neoacquisita ricchezza, sperperandola poco alla volta. Desiderava non svegliarsi male il giorno dell’incontro. Se si fosse svegliato male, tutta la giornata avrebbe rischiato di finire in una sordina di confusione, compreso un compito di filosofia che non poteva fallire. “Cos’e’ la felicita’?”; questo il tema. E lui lo sapeva cos’era, la felicita’: lei.

lunedì 18 novembre 2013

Non per fare il guastafeste

Non per fare il guastafeste, pero' oggi mi veniva da pensare che in realta', in quella vera, di realta', ci sono un sacco di ingiustizie in giro. Pero' non come le nostre, di ingiustizie, che per quanto grandi sono ancora concepibili, ma striscianti, brutte brutte: tipo che i bambini in certe parti del mondo fanno palloni da calcio, hanno messo su famiglia, forse, facendo palloni da calcio, e sono schiavi di padroni terribili, che li tengono incatenati al posto di lavoro, e le donne ai telai a fare i tappeti, e quando entra il padrone devono lavorare piu' veloce e coprirsi il viso.
E in certi paesi un gruppo molto ristretto di persone utilizza scudi ideologici per imporre il proprio dominio sulla popolazione, per poi utilizzare il potere cosi' ottenuto per i lussi piu' sfrenati, educando il popolo che governano a stare zitto e buono.
E ci son dei posti dove pestano i semi delle banane con i piedi dei bambini di sette anni, mescolandoli ai pesticidi, rischiando ogni giorno delle infezioni, e i loro genitori sono stati uccisi, oppure li hanno abbandonati.

Mi viene da pensare che noi, che ci lamentiamo tanto delle nostre ingiustizie, non sappiamo di cosa parliamo. Perche' l'Occidente tollera, quindi incoraggia, tali comportamenti, e finche' le cose stanno cosi' non possiamo proprio pensare di uscire dalla "crisi".

venerdì 1 novembre 2013

In memoria

La morte ti destabilizza. L’attimo preciso in cui ci si rende conto che esiste un’altra dimensione, un’altro posto completamente ignoto a quel che conosciamo e completamente invalicabile dalla dimensione umana, allora si ha paura. I nostri valori chimici si alterano, si inizia a diventare ansiosi e frenetici, aggressivi e depressivi, i nostri difetti si amplificano quasi come se ci fosse una reazione distruttiva, un’unica possibile reazione alla morte. La morte rappresenta la distruzione suprema. L’annichilimento dell’essere, la fine di ogni cosa pensata e di ogni azione, la staticita’ finale, lo stato in cui tra 10 alla 100 miliardi di anni l’universo verra’ a trovarsi dopo che anche i buchi neri si saranno dissolti. Il tutto, ridotto alla mia povera piccola dimensione borghese, si riduce ad una sensazione borghese di nausea per un’occasione di morte altrettanto borghese: un gatto. Il giorno di Ognissanti, 1 novembre, antecedente al giorno dei Morti, successivo ad Halloween, il mio gattino rosso di due mesi, Romeo, e’ stato ridotto ad un ammasso di budella e interiora dal corpo contundente di un copertone di gomma rotante a velocita’ tra i 20 e i 40 km orari, i suoi ultimi secondi sono probabilmente stati gli ignari secondi di paura istintuale che precedono qualcosa che ti viene contro, o forse sono stati quelli di chi sta semplicemente guardando un albero e non fa neanche a tempo ad accorgersi del rumore del motore e della luce dei fari accecante e di questi pneumatici, rrr rrr rrr, che vengono verso di te. E poi, piu’ il nulla. La macchina si sara’ allontanata nel giro di pochi secondi, non notando, oppure, forse in una situazione ancora peggiore, il padre di famiglia avra’ sussultato e la madre di famiglia avra’ esclamato un poverino! gettato al vento, o forse entrambi erano troppo impegnati a scherzare con la nonna, sul sedile posteriore, che parlava dei vecchi denti d’oro dello zio, di ritorno dal cimitero. Diventiamo storia, ed e’ triste e incredibile quel che diventiamo; diventiamo un canto uscito dalle bocche dei cari, ma in realta’ non diventiamo, ma semplicemente svaniamo nelle parole, ripetute e poi ancora ripetute, della gente.
Romeo e’ morto di curiosita’. Le prime parole che sono riusciti a pronunciare i miei genitori era che non aveva nessun motivo di allontanarsi: aveva il cibo, aveva acqua, aveva un giardino, un garage e una cuccetta di cartone. Eppure, Romeo forse sentiva la puzza della morte ancora piu’ di quanto noi la sentiamo, alienati come siamo in queste vite giornaliere. Esce, e cerca, scruta i dintorni spinto da una forza che lo esalta e lo trascende; rischia, e perde. Eppure, forse era piu’ serio di tutti noi, questo cucciolo. Ho sempre l’idea che non esista un momento in cui noi non siamo in fondo al cuore coscienti della morte, pero’ rimaniamo sordi e ci chiudiamo in noi stessi, invece di cercare nuovi orizzonti ai quali sfuggirle. Entrambe le scelte sono superflue, ma una sola ha coraggio. E quindi, forse, Romeo ha fatto bene a morire.

domenica 13 ottobre 2013

I maniaci della purificazione


Ci sono alcune persone dalle quali e’ meglio star lontano. Un consiglio facile facile: evitate i maniaci della purificazione. Personalmente ho a che fare con un sacco di queste persone, alcuni sono miei amici, non ci si puo’ fare niente, ma, se potete, evitateli. La caratteristica principale di queste persone e’ un forte senso di autoconservazione e identita’, che ne fa generalmente persone sicure, persone affidabili. Adorano l’ordine quando esso e’ simile all’ordine che e’ nelle loro teste che e’ quello che hanno sperimentato quando erano bambini; rimpiangono spesso giorni felici, ricordi annebbiati di quando, non preda della mania della purificazione, erano contenti del mondo che gli stava attorno. Ne sapevano, allora, trarre il meglio. Adesso invece devono tentare di conservare e di diffondere l’ordine all’interno delle loro teste.

mercoledì 18 settembre 2013

Riflessioni #7: L'ego della bilancia

Quando ingrasso somiglio a mio padre, quando dimagrisco ad un’altra persona. E’ un periodo un po’ strano, la frase che mi ronza in testa da un po’ e’ una di quelle che ho sentito per caso, di non so chi, una citazione, che poi le citazioni manco mi piacciono. “Chi riesce a descrivere le proprie emozioni su carta, le prova con intensita’ tanto minore tanto piu’ riesce a descriverle.” E allora mi chiedo spesso chi io sia, e chi siano tutti i miei scrittori preferiti, quali tumide bestie possano essi essere. Mi rendo pero’ conto di quanto sia vero. E’ vero, io mi meraviglio di tutto, io prendo appunti sul piu’ totale nulla se c’e’ uno stupido particolare che mi colpisce, pero’ tutto e’ cosi’ piccolo, e la parola “particolare” dovrebbe averlo lasciato intendere. Provo emozioni piccole, sensazioni magre. Le magliette mi ballano addosso, meta’ non mi vanno, perche’ sono dimagrito in maniera scomposta: le spalle sono secche, sottili, il petto pero’ e’ ampio e i fianchetti sono ancora larghi e prominenti, con l’effetto indesiderato di lasciare panzetta sulle magliette striminzite e ali di pipistrello su quelle larghe che usavo una volta. Anche il corpo mi sta grande, sono troppo grandi le mie mani, e’ troppo grande il mio petto per questi topi scarni, le mie ideuzze. Tento il continuo ridimensionamento dell’ego, ma questo e’ un procedimento egoistico, e altri egoisti, quelli normali con l’ego sano, me lo fanno notare, o ancora peggio me lo fanno notare gli altruisti. Adesso il mio ego lo tengo alle dimensioni dello scheletro, ma lo faro’ scendere al solo bacino per poi rinchiuderlo nell’osso sacro. Eppure, un altro desiderio si sforza prepotente, quello di descrivere le mie emozioni, e per quello dovrei ingrassare. Ingrassare il mio ego, rimpinzarlo, pero’ non troppo, in modo da lasciare lo spazio alle cose di ballarmi addosso, di ballarmi attorno, in modo da permettermi di descrivermi senza farmi troppo male. Mi iscrivero’ alla Weight Watchers.

mercoledì 11 settembre 2013

Succede spesso

Entro in un bar. Voglio chiedere se possono darmi un euro e dieci centesimi, per comprare il biglietto sull'autobus. Entro e dico subito buongiorno. Apro il portafogli e prendo 20 euro. Venti euro sono troppi, penso. Questo pensiero mi rende impacciato.

"M-mi cambia... dieci centesimi no ce un euro e dieci... peffeerr biglietto suautobus?"

Questo mi esce dalla bocca. Succede, quando si è impacciato. Per fortuna la ragazza bionda dietro al bancone capisce, e mi fa: "Noi vendiamo anche i biglietti", mi fa, con sorriso di solidarietà e accento straniero. Sarà perché pensa che anch'io sia straniero? Fortuna che ha capito, comunque. Fortuna che la gente capisce.
"Okay, mldia", faccio io, "uno", mi arrampico sul portafogli per prendere 10 centesimi che facilitino il calcolo alla ragazza. Nel frattempo vedo il bus, fuori dal bar, e mi giro repentino verso la cassiera, uno sguardo rapace. Mi da il biglietto, lo infilo nel portafoglio. Muovo le mani in una maniera incomprensibile, a coppa, ma agitando le dita, per indicare fretta. Ho gli occhi blu spalancati, i capelli sugli occhi, gli occhi pazzi. Ecco i soldi. Esco fuori. Corro. Per fortuna l'ho preso. 

domenica 25 agosto 2013

Riflessioni #6: Militari

Certe persone sono proprio militari. Sono nervosi e nerboruti, stanno ritti in piedi con la ghigna di chi domani deve affrontare Serse alle Termopili, oppure lo sono nell’animo, e allora sono arcigni, algidi e intransigenti. Di solito sono uomini, molto spesso frustrati. Ogni loro gesto, qualunque cosa dicano o qualunque cosa il loro gesto voglia dire, risulta violento e sgarbato. Pesano le parole con la bilancia per i camion e le loro mani assomigliano a mazze ferrate, le loro dita puntate a sciabole. L’aggressivita’ e’ certo una caratteristica dell’animo umano, ma quando raggiunge piu’ del 50% del tuo peso corporeo allora c’e’ da preoccuparsi: se la vita ti ha fatto duro a questo modo perche’ la vita e’ dura e ti da il calci nel culo, cambia vita. Non venire a invadermi. Non riesci a cambiare vita? Cambia te stesso.

I miei connotati pero’ no, non li puoi cambiare, soprattutto quelli emotivi, perche’ senno’ mi costringi ad essere militaresco ed io odio dover essere come te a scopo di difesa, perche’ poi quella difesa mi cambierebbe dentro, e inizierei anch’io a diventare nervoso e nerboruto, arcigno e intransigente. Non posso certo proclamarmi pacifista e poi arruolare un esercito per combatterti, al massimo provo a farti cambiare idea con una flotta di navi.

Non credo infatti vi sia una reale difesa contro queste persone, l’unica cosa da fare e’ lasciarsi attraversare da quello che fanno e che dicono, chiudersi a riccio dentro le mura di Atene mentre gli Spartani invadono l’Attica, ogni anno, d’estate, e bruciano le campagne circostanti.

In Atene si balla, si compongono tragedie e si vanno a vedere le commedie di Aristofane, Socrate gironzola per le strade facendoti domande strane, tu gli offri un cicchetto di Baileys e subito smette. La mia piccola Atene e’ piena di cose carine da fare, mentre la violenza del reale devasta le mie periferie. Ci sono musica, libri, concetti, grandi domande, videogiochi, politica, sport, film. E’ un’insignificante ancora di salvezza. Non fraintendetemi, non credo sia giusto andarsi a chiudere dentro le mura della propria citta’ interiore, le democrazie si stancano di questo, la peste impazza e Atene e’ destinata a perdere. Se c’e’ un difetto, infatti, della strategia periclea e’ questo: ficcando tutti gli abitanti dell’Attica dentro la citta’, creo’ una densita’ di popolazione tale da provocare un’epidemia di peste. E cosi’ io: in citta’ c’e’ troppa gente, e io non posso buttare fuori nessuno, l’entropia aumenta e la mente si avvelena.

domenica 18 agosto 2013

L'autogrill

Sono in viaggio verso la Calabria, terra accogliente e patria d’adozione fissa per le mie vacanze estive. Ci fermiamo all’autogrill.
Non ho spiccicato mezza parola con le persone sedute vicino a me in pullman, e dire che sto seduto nel sedile di fondo, ce ne sono ben quattro. Scendo, siamo in zona Teano, c’e’ una montagna non troppo alta dall’altra parte della strada. Sono stato altre volte in questo autogrill, una volta c’erano degli uomini a fare il gioco delle tre carte, quando cammino ho sempre la mano sinistra fissa sulla tasca posteriore sinistra, a toccare il portafogli, e’ un riflesso istintivo. Non sono l’unico a farlo. Intorno a me intravedo solo facce preoccupate o minacciose, tutte quante sicuramente stanche. Mi dirigo al bagno. Io uso sempre l’orinatoio, adoro gli orinatoi, me ne farei impiantare uno in casa se potessi, e’ molto igienico: tu ti piazzi li, tocchi solo il tuo coso, fa lui il resto con la fotocellula. Il perfetto sanitario maschile. Pero’, gli orinatoi di questo bagno sono tutti e tre pieni fino all’orlo, sembrano donne gravide che stanno proprio li’-li’ per spatararsi in due e rovesciare il contenuto dei loro sacchi amniotici sui poveri malcapitati. Se vi e’ mai capitato di assistere a un parto con l’uccello in mano, alzate la mano. L’altra mano, possibilmente.
In ogni caso io, temerario, piscio. Miracolo della ritenzione idrica(1), mi salvo dall’inondazione. Mi dirigo al bar, che dal bagno e’ dritto, poi a sinistra. Passo una porta e mi faccio inondare dall’aria condizionata. Non c’e’ neanche tanta fila, prima c’era fila, ecco perche’ ero andato in bagno. Mi produco vicino alla signora alla casa, ha i capelli biondi e un viso affilato ma intelligente(2).
“Un caffe’,” bercio, e poi, dopo un attimo di esitazione, quello di chi e’ combattuto tra il farsi i cazzi suoi e fare il bravo cittadino ligio, le faccio: “e senta, al bagno degli uomini di la’ rischiamo l’annegamento, fate qualcosa”.
“Non e’ di nostra competenza!” risponde lei velocissima, con un accento che vira dal perfetto italiano di prima, con cui aveva risposto “Certamente” a seguito della mia richiesta di caffe’, verso un casertano pesante.
“Si ma scusi, io qui ci passo una volta...” Il mio punto e’ che, anche se non e’ di loro competenza, e’ decisamente nel loro interesse poter offrire ai sostanti un posto pulito, in quanto bar, mentre per me, che passo solo adesso, la cosa puo’ anche passare in cavalleria. Insomma, lo dico per loro.
“Si’ ma non e’ di nostra competenza, e’ dell’altro locale, quello li’.” Indica la porta di fronte a quella da cui sono entrato, con un brusco gesto della mano. Io non ho voglia di andare all’altro locale.
“Si, ma, comunque...”
“Novanta centesimi, grazie.” Scontrino fiscale e mi liquida con dieci cents di resto.
Io mi accosto al bancone e prendo il caffe’. Mi piacerebbe, a questo punto, dire che fosse disgustoso. Ma non e’ vero, era buonissimo.

1) Lo so che non e’ questa cosa qua, la ritenzione idrica.
2) La mia capacita’ di giudizio della fisiognomica fa decisamente schifo.

venerdì 9 agosto 2013

Tutto qui

Vicino casa mia c'e' una collina, e su questa collina c'e' una casa, subito sotto il palo dell'alta tensione. Mi hanno detto che sotto l'alta tensione ci si muore di leucemia. Pero' e' una casa affascinante; diroccata, si erge sull'erba gialla. Tutt'attorno, il paesaggio e' quello limpido della campagna abruzzese, cosi' normale per un italiano e cosi' affascinante per uno straniero. In quella casa c'e' stato un omicidio. Io cammino spesso attorno all'edificio, ci sono tre staie per galline o porci, anch'esse in disuso, piccoli antri sfatti dalle erbacce. Qualcuno ha disegnato con un gessetto, tentando di spiegare come funzioni un eclissi solare. Ci sono tre cerchi bianchi, con scritto Terra, Luna e Sole, in linea. Conoscendo il contesto, potrebbero far pensare a un rituale satanico, ma conoscendolo meglio, il contesto, rivelano una straordinaria innocenza. Mi fa quasi piacere, che qualcuno abbia usato dei muri cosi' grigi per della conoscenza. Tutto attorno alla casa vi sono dei mandorli dai frutti abbondanti, e un fico cresce rigoglioso proprio di fronte alla porta crollata. Un albero, dentro, ha trovato il suo spazio, e ora cresce oltre il tetto sfondato, sottile ma deciso, le foglie larghe. La cosa che mi piace un sacco di questa casa e' la sua vitalita', nel luogo dove si e' consumato un delitto di sangue crescono cose, gli insetti sono attivi e laboriosi, l'aria e' fresca e pulita, e' un posto lontano e quasi edenico, lontano da tutto. E' meraviglioso, tutto qui.

lunedì 15 luglio 2013

Dilemma 1


Ho smesso di bere
per una dieta che sto facendo
E sono felice
Ti porterei fuori, a ballare
Magari
Ma cio’ significherebbe
Bere
Di nuovo

mercoledì 3 luglio 2013

Il locale del dubbio

A volte penso a come saremo tra vent’anni, e ci sono serate dove la piu’ recondita e orribile delle mie fantasie si concretizza in una realta’ imminente, come ad esempio quella di un locale sul Lungomare. Oggi e’ stato il compleanno di Alfio, pardon, la festa di compleanno di Alfio, e alcuni giovani riposavano le loro carni in vestiti attillati rigorosamente neri mentre alcune donzelle indossavano leggiadre alcuni tubini colorati che spesso e volentieri esponevano generosi seni e con piu’ generosita’ ancora i fianchi, sporgenti propaggini di culi acerbi. Non eravamo poi tanto diversi, da coloro che ci circondavano; l’Alfio, sotto insistenza della sorella, aveva organizzato la festa ai Quattro Pinguini, un locale che ci era sembrato patinato all’inizio ma che verso le undici aveva iniziato a mostrare la sua reale sciatteria, incoraggiando pletore di quarantenni (o over-under) ad entrare per cercare di rimediare una sana e provinciale scopata. Perversioni abruzzesi. D’altronde d’Annunzio. Ma il problema non erano i quarantenni, bensi’ la trista musica ascoltata da codesti quarantenni: come potro’ scordare una serata dell’orrore con sottofondo di musica napoletana d’antan, come farei senza Gloria Gaynor sotto la doccia? L’orrore che mi assale e’ che questo mefistofelico andazzo possa arrivare, con un paio di colpi di culo da parte della retromania, anche a me, povero arrapato quarantenne in cerca di una scopata di provincia. Come faccio io, con O’ surdato ‘nnammurato, ad avere anche solo la benche’ minima intesa sessuale con qualcosa di piu’ appetibile di un roito rosolato nello strutto? Terribili dubbi mi assalgono!

sabato 22 giugno 2013

Riflessioni #5: certe morti

Ed eccoci qua, ancora come quando si aveva otto anni e ci si spaventava dell’ombra che veniva dal lampione di fuori di camera di mamma, che la pareidolia faceva sembrare un diavolo pronto a mangiarti quando dormivi, e io quella camera la volevo, ne avevo bisogno, di quella camera, voi lo sapete quando uno ha bisogno di una camera, e i demoni con i loro bisogni demoniaci non lo sanno ma io devo sopravvivere anche stanotte perche’ domani c’ho da fare, devo andare a vedere un film al cinema e pensare a qualcosa da scrivere, magari finire il racconto che sto facendo o scrivere una poesia oppure iniziare qualcosa d’altro oppure semplicemente parlare in chat con quegli amici di Facebook che anche se per il momento sono virtuali sono comunque amici tua, e gli amici tua so tua, te li devi tene’ stretto che se li perdi la vita e’ troppo grande senza reti a contenerla, senza la Rete a contenerla. C’e’ che oggi mi hanno solamente raccontato dell’Esorcista e io mi sono spaventato all’idea che qualcun’altro si fosse spaventato, pensando di andare a dormire tranquillo dopo averlo tranquillizzato, razionale come sono, a riguardo dell’inesistenza della possessione ma, problema grande, a me piace un sacco credere che quanto dica sia falso dato che e’ logico, razionale e soprattutto perche’ lo dico io, e io quando ho ragione non mi credo mai, cosi’, per principio. E quindi il film di oggi e’... no, non e’ l’Esorcista, e’ Whatever Works, tradotto in italiano con un azzeccato “Basta che funzioni”, e io sto cercando qualcosa che funzioni per andare a dormire, sperando che picchiettare sui tasti del mio Chromebook - mai visto un computer cosi’ indie e cosi’ economico e cosi’ Google - funzioni, cosa che in realta’ credo poco visto che mi sento le gambe’ un po’ molli un po’ friccicanti, e mi viene in mente di alzarmi come Larry David (protagonista) e urlare “L’orrore! La morte! L’orrore!” perche’ ora come ora mi vengono in mente, la morte e il suo orrore, quella nonesistenza che fa paurissima perche’ sta li’ e tu non puoi farci niente, pero’ se viene che c’hai meno di 87 anni ti da parecchio fastidio e ti fa venire i capezzoli rigidi e il vuoto sullo sterno. E come la risolvi, la morte, e’ un tema del quale non mi sento neanche di parlare, visto che la risoluzione non appartiene a questo mondo, mi piacerebbe pero’ non finire ora, a me, e chissa’ quando non sara’ piu’ ora, e insomma e’ una di quelle notti che ti viene da pensare al cambiamento, che la morte altro non e’ che cambiamento, sara’ che in due giorni lascio la mia casa di ‘Merica e in quattro la mia seconda terra di ‘Merica e poi ci sara’ un breve scalo in Crucchia e poi dritti nelle braccia infide del Bel Paese, dove non so neanche che cosa dire a chi mi verra’ incontro chiedendomi speranzoso ma segretemente annoiato di ‘Merica. Ohibo’, dovrei tentare di dormire, dite voi, dico io, dicon loro, ma io a loro non e’ che gli credo tanto, cosa succede se muoio nel sonno? Ho sempre pensato che sarebbe una morte desiderabile, nel sonno, pero’ mi rendo conto che in realta’, a me, piacerebbe morire in piedi, come diceva Vespasiano che correva l’anno settantaequalcosa dopocristo. Tanto per divertire qualcuno con i miei sproloqui pre-mortem tipo questo.

domenica 16 giugno 2013

Quell'impressione negativa

A volte ho come l’impressione che per essere un regista di culto tu non debba fare altro che fare la stessa identica cosa in ogni tuo film. In certi casi, lo si chiama stile, in cert’altri si chiama canone, nel mio caso si chiama noia. Voglio dire, che un regista facendo cosi’ diventi di culto e’ normale, visto che rappresenta una fetta di mondo, una visione, che certamente e’ interessante per qualcuno, per, a volte, un nutrito seguito di persone. E’ particolare, c’e’ chi si rispecchia in questa visione ma, d’altro canto, puo’ essere considerata un’opera di valore una copia, qualcosa che rifletta la creativita’ messa in atto? C’e’, questa creativita’? Ah, ma io sono convinto, convintissimo che il regista (o lo sceneggiatore, o il fumettista) lo sappia bene, di star facendo la stessa cosa; sta con l’acqua alla gola, la casa di produzione pressa, i finanziatori pressano, i fan(atici) pressano, gli pignorano la villa a Beverly Hills se non lo fa, ‘sto film. Altre volte, sono ottimista, guardo a come questo tizio riesca a fregare tutti, e mi dico che io di cinema non ne so niente, che non ho visto abbastanza film, che non ho studiato abbastanza - che poi e’ vero. Paradossalmente, mi piace Woody Allen. Perche’ lui non se la tira, l’ha sempre detto di non essere un genio, fa un film all’anno, lo deve sparare, lui, il film, come le pugnette, gli serve per fare training autogeno. E forse mi piace anche perche’ in fondo in fondo sono un fan, mi ci rivedo in lui e sono ascrivibile alla categoria di cui sopra. Quindi (promemoria per me) quando parlo con un geek di quanto Superman di Snyder faccia pieta’, devo ricordarmi che anche io, se mi toccano Allen, tendo a dare in escandescenze, anche se magari non le urlo in Klingon, ma che, effettivamente, la colpa non e’ neanche di Snyder, lui poverino aveva bisogno di pagare l’affitto, senno’ doveva traslocare a Madera Heights e li’ e’ pieno di neri. La colpa, spiace a dirlo, e’ di Superman. Superman ha lo stesso problema del regista di culto di cui sopra - e’ noioso.

P.S. tutti i riferimenti a Los Angeles mi sono venuti in mente guardando This Is The End, un film decisamente migliore.

sabato 15 giugno 2013

E' la loro, di miseria

Il Contadino, di W.D. Ehrhart (trad. Vagabond, per l'originale qui)

Ogni giorno, io vado nel campo
a vedere cio’ che cresce
e cio’ che dev’esser fatto.
Sempre lo stesso: niente
cresce, tutto dev’esser fatto.
Ara, erpica, zappetta, innaffia, prega
Finche’ le mie ossa fan male e le mani le sfrego
nude dal sangue di onesto lavoro -
quel che cresce e’ solo la lenta,
intransigente intensita’ del bisogno.
Ho piantato il mio seme su un suolo
dalla miseria promesso al fallimento.
Ma io non mi lamento, tranne che
a passanti che mi chiedono perche’
lavori una cosi’ grama terra.
Non mi avrebbero capito,
se mi fossi chinato a prendere un sasso
e stringerlo come un bimbo, o riso,
o loro detto che e’ la loro, di miseria,
che io fatico per mitigare. Per loro,
Io mi lamento. Un contadino di sogni
sa come fingere. Un contadino di sogni
sa cosa vuol dire, essere paziente.
Ogni giorno, io vado nel campo.

lunedì 10 giugno 2013

Tragedie da poco - una ballata

Marco guardava la sera
Maggio di due anni fa
Contemplando, non stupito,
d’ammazzarsi la volonta’.

Le unghie gli dissero
di smettere, morse abbastanza
piccolo lo stomaco che fosse
la fame era tanta.

Pensava a Giorgia
Alle povere labbra
che arricchir non potra’
nulla resta, nulla basta.

E poco rimase di loro
poca era la voce
cosi’ tacquero
E fini’ la cosa.

Venne la guerra e Marco parti’
lasciando solo un pensiero:
E’ piu’ facile uccidere
che amare per davvero.

lunedì 3 giugno 2013

Riflessioni #4: le Coppie

Uscire insieme da giovani e’ un comportamento illogico, ero tentato di dire che “io sinceramente non capisco chi esce da giovane” ma visto il precedente post non l’ho fatto e mi sono anche detto che li capisco benissimo, un ragazzo e una ragazza che passano del tempo insieme baciandosi e dopo un po’ avendo dolci rapporti sessuali, lo fanno per il piacere dello stare insieme, per le endorfine, perche’ si piacciono, ma il problema e’ che in realta’ lo sanno bene che finira’. O non lo sanno, tentano di non saperlo, ma in fondo e’ molto difficile non saperlo, e’ una verita’ dismessa, una bugia (ci amiamo) che nasconde una consapevolezza (non lo facciamo che per noi stessi) che giunge alla naturale conclusione (quando saremo soddisfatti ci stancheremo, e una volta stanchi ci lasceremo). Ecco, io non riesco a vivere cosi, come si fa a vivere cosi’? Anche io desidero stare insieme a qualcuno, molto, ma non riesco ad attribuire alla relazione amorosa un valore valido se in fondo poi finisce, mi piacerebbe molto essere quel tipo di persona che si rende conto di cio’ e con un libertino fatalismo ci prova lo stesso, magari adducendo anche la scusa perbene che serve per fare esperienza, ma ho capito che non lo sono; se prima pensavo che dovevo dare ad un partner un ideale di futuro in modo da illuderci entrambi a sufficienza, adesso mi rendo conto che come prima cosa io non voglio illudermi, e soprattutto che sono io a dover sentire quel senso di futuro, non il mio partner - non sono nella sua testa, una volta pensavo di essere nella testa di tutti, ora non piu’, meglio, anche se mi piaceva. E quel che e’ peggiore e’ che io questo bisogno lo conosco e non mi piace, perche’ va contro tutti i miei principi, anche estetici: e’ un bisogno reazionario, quello della monogamia, quello della stabilita’, e l’istinto contro il quale combatto ogni giorno, eppure si ripresenta con costanza in come agisco, nel mio subconscio, nei miei blocchi che sono reali e non lo sono, sono composti di sovrastrutture moraliste e non sono pero’ considerati intimamente sbagliati, ne’ da me ne’ dagli altri, almeno in linea di principio. Mi viene da pensare ad un altro grande reazionario, Nanni Moretti, quando in “Bianca” lui le dice, a Bianca, che non possono stare insieme, perche’ poi si lasceranno, come tutte le coppie che il protagonista Michele conosce, monitora e “stalka”, e mi identifico moltissimo in questo, in questa sua miseria, lo dice quasi piangendo, Michele, e lo sai che in quel momento, ma solo in quel momento, sarebbe da ammazzarsi. E invece no, si vive, e si diventa come Niccolo’ Contessa, aka I Cani, che fa una canzone come Le Coppie, mettendoci anche una canzoncina pop con la tastierina pop che piace ai tipi pop che non capiscono quanto poco pop la situazione sia.

domenica 2 giugno 2013

E' meglio capire (Ignorance is doom)

A volte si va d’accordo con quello che, ad un certo punto, usa la figura retorica del “e sinceramente non capisco chi”. Il chi che viene dopo e’ sempre qualcuno con un comportamento non approvato da chi parla, considerato bizzarro da lui e dalla sua audience, come, non so, lavarsi i denti prima di andare a cenare. Io considero questo tipo di approccio retorico un vilipendio continuo non solo alla persona che non viene capita, ma anche all’intelligenza di chi parla: non capisci chi si lava i denti prima di andare a cena? Probabilmente sei un decerebrato che pensa che l’unico comportamento logico adottabile sia il tuo, senza capire che in realta’ ogni tipo di comportamento e’ sviluppato attraverso la logica. Non e’ detto che possa partire da una base logica, ma sicuramente ha senso nella mente di chi lo attua, il che vuol dire che se non hai l’empatia di un comodino potresti capirlo anche tu.
La persona che si lava i denti prima di andare a cena puo’ volerlo fare perche’ pensa di risultare piu’ fascinosa se il suo alito e’ fresco, nel caso di un appuntamento galante, o potrebbe voler avere la bocca libera da ulteriori sapori in modo da degustare meglio il cibo, oppure ha semplicemente una “fisima”, un complesso, per il quale ogni volta che esce di casa si deve lavare i denti, perche’ magari la mamma quand’era piccolo gli ha insegnato cosi’ o perche’ trova indecente il contrario. Puoi benissimo capirlo. Il problema ovviamente non risiede nel tipo che si lava i denti prima di andare a mangiare, ma si ripresenta - il problema - quando ci sono atteggiamenti piu’ seri che possono influire con la societa’. Cosi’ non si capiscono le donne e gli immigrati, ma non si capiscono neanche i violentatori e i fascisti, e cio’, checche’ se ne dica, non e’ mai bene, dato che ogni essere umano necessita di comprensione e di qualcuno che lo capisca, non che lo approvi, badate bene.
Eppure pare che il contrario faccia piu’ presa: chi non capisce niente, chi dichiara quasi con orgoglio di non capire certe persone, fa un danno a se stesso, a quelli che lo seguono e alla comunita’ tutta attraverso di se’, ma sembra essere la figura dominante in certa cultura italiana, politica e non, persino giudiziaria. Continuamente si sente “io sinceramente non capisco gli stupratori”, “io non capisco i disonesti”, “io non capisco la gente che c’ha in testa”, ma probabilmente se ci si sforzasse di capirlo, “la gente che c’ha in testa”, ci si ritroverebbe a dover pensare troppo, a trovarsi anche un po’ al posto di quelli che tentiamo di capire, magari molto simili a molti criminali, e si realizzerebbe che e’ solo per caso che loro sono li’ e noi siamo a giudicarli.
Mi vengono in mente le lezioni di umanita’ che faceva il buon vecchio Faber, che in quella volta in cui scrisse una canzone con De Gregori produsse La Cattiva Strada, dove tutti, improvvisamente, capiscono lo sconosciuto, e quando capiscono lo sconosciuto capiscono anche se stessi. Forse il senso della canzone e’ anche un altro, pero’ questo e’ uno e mi piace pensare che La Cattiva Strada significhi anche questo. Capito?

lunedì 13 maggio 2013

Eufemismi coccodrilli comuni luoghi


Guardate, non lo so se questa cosa debba valere per tutti, pero’ vale per me.
Quando saro’ morto, non dite che sono
a) scomparso. Io non scompaio, se io scompaio andate a Chi L’Ha Visto, anzi non andateci perche’ quella trasmissione fa schifo.
b) spento. Io non mi spengo, non sono una lampadina, non sono un forno a microonde. Anche se l’espressione “si e’ fulminato” potrebbe pure suonare carina.
c) dipartito. Io non diparto, se diparto mi serve un biglietto di sola andata per Marte; che non sarebbe tanto male non fosse che in fondo mi piace la Terra.

Dite che sono morto. Oppure, se proprio volete usare un eufemismo, usatelo fantasioso: mi sono liquefatto, ho iniziato a decompormi, mi sono trapiantato, ho traslocato nella non-realta’ umana, sto contribuendo al nutrimento degli arbusti, sono stato biodegradato, ecc. Ripensandoci, forse e’ meglio se dite che sono morto.

lunedì 6 maggio 2013

Riflessioni #3: se la vittoria e' universale

Mi sono sempre chiesto come fosse una vita senza sbagli. Una vita dove non fai mai la cosa sbagliata, azzecchi sempre, e non c’e’ la benche’ minima possibilita’ di sbagliare perche’ il tuo cervello funziona cosi’ bene, e’ cosi’ diplomatico che non te la permette no una cosa del genere. Dove ogni mossa e’ quella giusta, dove ogni disobbedienza e’ fatta con garbo e ogni autolesionismo e’ calcolato in modo da non creare dolore ma solo evitare il conflitto, un gioco preciso di specchi che calcoli ogni tuo movimento dall’interno e dall’esterno. E ancora; una vita dove anche se sbagli, non sia peccato, non sia qualcosa di imperdonabile, non sia qualcosa che tu stesso non puoi accettare come passata, ma anzi che sia invece facile da metabolizzare e controreagire. Ovviamente tutto cio’ non sarebbe bello, sarebbe in qualche modo orripilante, sarebbe quasi una specie di nazismo autoimposto dell’anima - se poi l’anima esista, e’ tutta una roba da vedere, ma chiamiamola anima per comodita’ e tanto per diventare un po’ piu’ stupidi mescolando i significati. Eppure, dopo tutta una corta vita passata a sbagliare, a mangiarmi le mani, le unghie, e le gambe del tavolo, vi assicuro che lo stile di vita di chi sbaglia e’ altrettanto orribile; e’ anche bellissimo, per chi ama l’arte, la bellezza e la malinconia e’ bello come un gatto acquattato pronto a balzare e a morderti al collo e ai testicoli. Fa gran bei pensieri, ma si vive incredibilmente male, e si vive come vivono tutti gli altri, male, ma con la consapevolezza che forse, in fondo, si potrebbe vincere, e non lo si sta facendo per fare dell’arte, per creare un personaggio che come un novello Pierrot se ne vada in giro ad urlare la nostra verita’ come qualcosa di cui il nostro Ego possa persino andare fiero. E quasi quasi, a me vien voglia di fare le cose giuste, e magari vendicarmi un po’, divertirmi un po’ con magnanimita’ da imperatore romano del secondo secolo, e poi magari usare un po’ di saggezza e trovarmi finalmente Bilancia, che, se non per una certa ironia cosmica. perche’ sia il mio segno zodiacale non l’ho mai capito.

giovedì 2 maggio 2013

Bugie noiose.

Ci sono tantissime cose noiose al giorno d’oggi, ed e’ terribile che nessuno se ne renda conto. Ovviamente non sono palesemente noiose, ci mancherebbe, e neanche universalmente noiose, poiche’ se lo fossero, sia palesemente che universalmente, non ci si metterebbe molto ad etichettarle come noiose. Quindi diciamo che ci sono tantissime cose che a me vengono a noia, e che io desidero condividere il mio punto di vista con voi, ritenendolo difatti un punto di vista condivisibile. Una cosa che trovo noiosissima, ci pensavo oggi, sono i bugiardi. No, sul serio. Nel nostro immaginario di solito c’e’ spazio per l’elegante affabulattore, il ladro gentiluomo che con il suo savoir-faire riesce ad orchestrare una truffa o a sventare, nel caso di James Bond (che non e’ ladro, ma ci piace per lo stesso motivo), un complotto internazionale e ad uscirsene, perche’ no, anche con una bella gnocca. Ma, a parte questo archetipo, che cos’e’ il bugiardo? Solitamente e’ una persona vile, viscida e pero’ abbastanza intelligente da sapere di esserlo, quindi anche considerevolmente triste. Bugiardi classici sono i mariti che tradiscono le mogli, oppure i single a caccia. Il comune denominatore dei bugiardi e’ che, contrariamente a quello che diceva - con spirito di satira alternato a constatazione estetica - Oscar Wilde nella Decadenza della Menzogna, le loro bugie non sono incredibili castelli in aria capaci pero’ di affascinare l’interlocutore, ma hanno la caratteristica di dover essere credibili, e percio’ noiose. Noiose per chi le ascolta, sia che sia al corrente del fatto che l’altro stia mentendo, poiche’ in tal caso e’ tutta solo una sfilza di parole vuote, che che non lo sia, poiche’ in questo caso c’e’ da lamentarsi dell’ovvia mancanza di particolari, dovuta alla mancanza di tempo e minuzia per inventarne, e del tipico tono monocorde; e noiose per chi le dice, che si deve sottoporre a salti mortali senza adrenalina (e, se ci togliessero l’adrenalina, le montagne russe risulterebbero solo un treno al contrario) che conducono solo allo stress, amplificato anche dal fatto, ancora piu’ noioso, di dover mantenere la bugia per un lungo periodo di tempo, dovendosi anche ricordare di applicare una certa coerenza.
Insomma, promemoria per chiunque: non mentite. Perche’ poi e’ noioso. E’ noioso dovervi sgamare, e’ noioso starvi a sentire, e’ noioso per voi farlo. Se invece mentite in modo memorabile, e so che siete in pochi: perche’ lo fate? E’ un peccato dover dedicare le vostre doti ad un’attivita’ cosi’ mediocre. Avete un futuro. Posti per voi sono aperti nel mondo dello spettacolo, nell’informazione, nella politica, nella cultura e nella malavita organizzata.

giovedì 18 aprile 2013

Riflessioni #2: storia di un fumatore in venti giorni

Non avevo mai comprato un pacchetto di sigarette in vita mia, e difatti anche stavolta non l’ho fatto: ho dovuto dare i soldi ad un amico, perche’ in America fino ai diciotto e’ illegale, e lui le ha comprate per me. Iniziai a fumare per una questione di stress, e per un ragionamento logico: il tabacco e’ molto piu’ socialmente accettabile del sovrappeso e suppergiu’ toglie gli stessi anni di vita, fa cadere gli stessi capelli e crea la stessa dipendenza. Per la prima settimana ogni volta che ne fumavo una - che sarebbe a dire una volta al giorno - mi lavavo le mani, mi lavavo i denti e mi toglievo la maglietta, la scuotevo per togliere l’odore e poi la rimettevo. Pensavo alla sigaretta come ad un piacere in piu’, un decadente vezzo; ero consapevole dei rischi. Fumavo gentilmente, sul balcone, senza dare fastidio a nessuno. Dopo due settimane avevo smesso di performare le abluzioni rituali post, fumavo e tornavo alle mie occupazioni; il semplice pensare alla sigaretta durante la sigaretta era stato rimpiazzato da un bilancio della giornata in cinque minuti, da una riflessione anche profonda su certi argomenti e certe situazioni, intercalata da profondi tiri. Spesso mi capitava di osservarla, la Marlboro, e di vedere come bruciava, come non avesse nulla di attraente, come la carta bianca sfumasse verso il marrone al cominciare del mozzicone, come il filtro si ingiallisse. Ma io sono una persona terribilmente ansiosa; la sigaretta puo’ placare l’ansia per chi non e’ consapevole dei rischi, ma per uno che nasconde sotto una patina di fatalismo una tale ipocondria non esiste tale paradiso; percio’ una sera andai su Wikipedia e lessi tutta la pagina dedicata, spaventandomi a dovere. Non smisi subito, fumai come al solito, ma il pacchetto stava finendo e io non ne avrei comprato un altro, lo sapevo. Insomma, ero gia’ arrivato a quella che molti chiamano la fase in cui si vuole smettere, che vista la solitudine, e di conseguenza il tempo sufficiente per pensare, si era ristretta ad una settimana. D’altronde, non avevano funzionato come volevo: forse lo stress si era ridotto, ma non erano le sigarette cio’ che mi permetteva di seguire una dieta (come difatti non ho fatto) o di perdere peso o di impormi comunque qualcosa di ferreo; non erano riuscite nell’intento di rimpiazzare un vizio con uno peggiore, come direbbe Oscar Wilde.
Oggi, guardando le ultime due, ho fatto uno strappo alla regola, le ho fumate una dietro l’altra ed eccomi qui, sobrio e, come sempre, ansioso, perche’ adesso tocca smettere.

martedì 9 aprile 2013

Teoria dell'accumulo di colpa (o del baratro, se preferite)


Leggendo di Sartre sul mio buon libro di filosofia, apprendo che il suo famoso aforisma “Siamo soli, senza scuse” significa anche che ogni tipo di responsabilita’ e’ personale e senza alcuna consolazione divina. Ora, applico questa mia sartriana convinzione e la applico alla convinzione che ho, nietzscheana (se questa parola ha ancora un senso), che le passioni umane vadano vissute al massimo grado. Di conseguenza, non esiste perdono, esiste solo punizione; ma anche la punizione non e’ purificata dalla colpa di aver inflitto dolore ad un altro essere umano, anzi, e’ piena di colpa. Chiamo questa teoria personale l’accumulo di colpa - intesa come responsabilita’ penale, non in senso cristiano - infinito che caratterizza il genere umano, una specie di banca del karma negativo, un baratro dal quale non usciremo, e non usciro', e non uscirete, mai.

martedì 2 aprile 2013

Riflessioni #1: la privazione

Non sono mai stato un fan del rap, anzi, il rap non mi piace per niente. Non amo la sua logica semplicistica, la supposta profondita’ che si dovrebbe trovare nei versi di Tupac - che secondo la visione di alcuni dovrebbe essere quasi pasoliniana. Pero’ ogni tanto mi ricredo, e lo faccio quando penso a Yonkers, di Tyler, The Creator. Perche’ non e’ semplice per niente, perche’ anzi e’ complicato e avvolgente nei suoi complessi; perche’ e’ come me, e io mi trovo a mio agio, come tutti, con gente che e’ come me. Nel video il giovane prima mangia uno scarafaggio, poi vomita, e infine si impicca. Poi il suo alter ego, Wolf, si taglia la gola. Ora, pensieri suicidi a parte - non ne ho mai avuti, anche se alcuni sostengono faccia bene, tipo Nick Hornby - l’idea del detestarsi un po’ non mi e’ nuova. E non e’ neanche male, ogni tanto, vomitare un po’, in senso metaforico, si intende. Il giogo delle ossessioni (per Tyler il successo, ad esempio) va spezzato in qualche modo, e il volersi male ha il preciso fine di smettere di amarsi per finalmente volersi bene in senso vero.
La privazione e’ stata praticata dai tempi antichissimi di Siddhartha Gautama, il quale, prima di praticare il cammino che lo condurra’ al Nirvana, impara a dominare il corpo attraverso il digiuno, ed e’ continuata attraverso tutta la tradizione sia mistica che filosofica. In filosofia, particolarmente, Platone parla, nella Repubblica, delle privazioni che un re-filosofo deve sopportare per conseguire la saggezza: niente matrimonio, niente amore, niente eccesso, e tutto questo per arrivare all’obiettivo (diventare un filosofo) solo all’eta’ di 50 anni. Kant e Rousseau vengono descritti come due asceti, dalla vita estremamente rutinaria e monotona, per non dire triste - almeno da un punto di vista mondano.
La filosofia del “less is more” e’ qualcosa a cui voglio credere, almeno in questo momento della mia vita: mi piacciono le cose scarne, non inzaccherate d’oro e barocco, o di sovrastrutture, ma che contengano una profondita’ vera, una ricerca interiore. Dio, come mi sento vecchio e giovane allo stesso tempo! Sono un diciassettenne col complesso di Peter Pan.

lunedì 25 marzo 2013

Robot senza sentimenti


Domenica ho visto alla tv un programma molto intelligente, chiamato Sixty Minutes. Questo programma ha esattamente sessanta minuti compresa la pubblicita’ per presentare due o piu’ documentari divulgativi, e va in onda una volta alla settimana. Al di la’ del formato estremamente brillante di questo programma (da noi cosi’ c’e’ solo la Annunziata, e con intento totalmente diverso) quello che mi ha colpito e’ stato il suo primo documentario. Descriveva come la robotizzazione avesse soppiantato il lavoro manuale in serie degli operai in molte fabbriche e imprese della Silicon Valley, dato che i macchinari robotici non costano piu’ di trentamila dollari ciascuno, alcuni anche ventimila, che sarebbe la meta’ del costo di un attuale anno di stipendio di un operaio. Alcuni analisti spiegavano come questo abbia causato una sostanziale differenza di questa crisi da tutte le altre, ossia che questa volta l’America non e’ tornata “back to work again”, e forse anche grazie al fatto che i lavoratori non specializzati non sono piu’ richiesti. Il mio primo pensiero e’ stato che nel futuro cio’ avra’ l’effetto di far specializzare, probabilmente in elettronica, programmazione e robotica, una grandissima fetta di lavoratori.
E allora, visto che gia’ stavo pensando, mi sono dato all’immaginazione incontrollata: mi sono messo a pensare ad un futuro possibile, quello probabilmente dei bisnipoti che non avro’, dove tutto sara’ azionato da robot. Una societa’ schiavista e aristocratica che sara’ possibile attuare perche’ le macchine non avranno bisogno ne’ di diritti ne’ di sentimenti. Ovviamente le macchine saranno fatte in numero limitato e sempre uguale, perfette per produrre i beni necessari alla vita agiata di tutta la popolazione, e funzioneranno (come tutto, tra una cinquantina d’anni) ad energia solare. Le occupazioni umane saranno riparare le macchine, fare ricerca, fare sport e produrre arte. Potremmo dedicarci finalmente a innovare l’educazione, scoprire nuovi meccanismi dell’universo, produrre opere migliori di Madonna per gente che non ascolta Madonna, cercare la felicita’ e essere pigri, che piu’ di tutto e’ cio’ che ognuno di noi sogna di fare. Mi viene anche da pensare che non ci sarebbe bisogno di competizione di mercato, perche’ avremo il miglior prodotto possibile al miglior costo possibile, ossia nulla, e potremo sempre soddisfare le richieste di tutti.
Poi un altro pensiero mi colpisce come una badilata. La prima parte di questo pensiero e’ un po’ d’antan, dice praticamente che una societa’ felice, egalitaria e libertaria al massimo grado ha bisogno di schiavi, ed e’ da Roma in poi che funziona cosi’, una societa’ non puo’ sopportare il malcontento creato dalla produzione dei suoi stessi beni all’interno di se stessa, ma deve forzare in qualche modo un gruppo al di fuori di se stessa che lo faccia. La seconda parte e’ lo sviluppo della prima, mi sono semplicemente messo a cercare chi fossero i nostri attuali schiavi, e arrivo alla conclusione che la nostra societa’, quella attuale, poggia sull’infelicita’ di milioni di persone, che noi non vediamo. Sono infatti convinto che essere un operaio non specializzato, che di lavoro ripete sempre la stessa azione per un numero infinito di volte, senza prospettive di miglioramento, sia un lavoro estremamente infelice, e l’alto numero di suicidi nelle fabbriche me ne da ragione. Ho spento la tv, sono andato a letto e ho sognato un robot che piangeva titanio.
Fortuna che i robot non piangono. Infatti, qualcuno ci serve, che faccia il lavoro sporco. E in questo momento, quando partorisco questo tipo di pensieri, mi chiedo se in me non si nasconda uno schiavista, un sudista becero pre-guerra di secessione, o se invece non sia un po’ un pensiero di tutti quello di dominare gli altri per ottenere benefici. Forse noi tutti, genere umano, potremmo far parte tutti insieme di questa grande congiura.

sabato 23 marzo 2013

Berlusconi, e tutto il bene che gli vogliamo

Giudicare Berlusconi dalla sua vita privata e’ quel che molti fanno, per precise ragioni: e’ semplice, e’ sufficientemente sadico per la crudele psicologia di massa, ed e’ soddisfacente, soddisfa tutti, la stampa, i telespettatori e la televisione. Ma e’ completamente senza senso. Le due sfere sono completamente differenti, poiche’ la vita privata e’ qualcosa di estremamente ininfluente e volatile nelle logiche politiche, e cattivi comportamenti in essa possono influenzare solamente coloro che pongono una base morale a scienze che morali non sono, visto che si occupano principalmente di meccanismi e provvedimenti pratici.
C’e’ pero’ da chiedersi perche’ l’opinione pubblica si sia impuntata su questi fatti, ed ecco che in questa domanda si cela la risposta anche al vero problema dei governi Berlusconi: non hanno fatto niente. Ricordo un breve intervento di Mentana a riguardo, che fece notare che l’attenzione del pubblico si era spostata in relazione all’inattivita’ del governo. Il concentrare gli attacchi su questo fronte giova invece al Cavaliere, che riesce a far divergere l’attenzione da cio’ che avrebbe dovuto fare a cio’ che ha commesso, e cosi’ ottiene, ad ogni necessita’, una nuova opportunita’ di fare promesse - che non manterra’, ma non lo dico io, lo dicono i fatti.
Andiamo, la sceneggiata dei parlamentari fedelissimi di fronte al Tribunale di Milano? O anche prima, la tensione tenuta alta sui suoi processi e sulle udienze alle varie Olgettine? Questa e’ campagna elettorale allo stato puro, fatta per provocare avversari incoscienti, che hanno regalato punti su punti all’avversario attaccando la parte sbagliata del suo passato, attaccando la parte che egli puo’ difendere o lasciar passare tranquillamente con la consueta nonchalance, magari unita ad una certa ricerca di compassione contro la “persecuzione”.
Perche’ invece nessuno parla mai delle politiche economiche sbagliate, della legge elettorale corrotta - tutti ne parlano, nessuno lo incolpa -, dei trasporti in uno stato disastroso e dell’edilizia e dell’industria lasciate sviluppare in modo rampante e disordinato? Tutti sembrano dare la colpa a Monti e al suo annetto e mezzo di governo per questi ed altri problemi; nessuno attacca il Pdl per questo. E vi diro’, a me oltre che stupido sembra anche strano.

giovedì 21 marzo 2013

Totalitarismo 4 Dummies

Il totalitarismo e’ ciclico. Il suo meccanismo e’ molto semplice, si basa sull’insicurezza delle persone. E’ un sistema perfetto per chi lo controlla, poiche’ permette di avere potere sulle masse senza che le masse se ne accorgano, almeno in principio. Conosciamo bene i movimenti totalitari della storia, e sappiamo bene che la maggiore causa di insicurezza nelle persone e’ rappresentata dal non poter piu’ sostentare se stesse, e che questa situazione si verifica spesso durante un periodo di crisi economica, basti pensare alla Germania abbattuta dai costi della Prima Guerra Mondiale, all’Italia nata povera e ignorante, alla Russia demolita dagli zar prima, e dal comunismo poi (perche’ quello di Putin, checche’ se ne dica, e’ un regime a stampo totalitario). Il tipico partito totalitario abbindola l’elettore in un modo molto semplice: dandogli un obiettivo. Un obiettivo comune, grande, e che soprattutto lo libera dalla sua coscienza, confidandogli che non e’ colpa sua se qualcosa va male, ma di tutti gli “altri”, tutte le persone che egli non conosce e che per definizione sono cattive, bugiarde e malintenzionate. E’ infatti un meccanismo basilare del cervello umano quello di difendersi da cio’ che e’ esterno e nuovo, e in tempi remoti aveva una funzione molto importante, quella di permettergli la sopravvivenza in ambienti ostili. Freud l’aveva identificato come “istinto di conservazione”. Che e’ esattamente quanto un partito totalitario fa: conserva, protegge, ordina, regola. Ovviamente non tutti i partiti conservatori sono totalitari, ma tutti i partiti totalitari sono conservatori, retrogradi a parer mio. Promettono incessantemente un “cambio radicale” che altro non e’ se non il ritorno al modello base di partenza, che aveva poi condotto al disastro finale, che poi condurra’ ad un totalitarismo, e cosi’ via. Hitler con la “Grande Germania” militarista e nazionalista, prendendo spunti addirittura mitologici; spunti storici invece per Benito Mussolini, che addirittura sognava l’Impero Romano (in questo progetto le bonifiche e la celebrativita’ statale sono del tutto coerenti); l’Unione sovietica che mantiene lo stesso assetto dal 1917; Putin che stravolge tale assetto, si immerge nella corruzione e poi lotta per mantenere il suo posto. Per alimentare la fiducia del popolo, il partito totalitario scredita tutti gli avversari, e quando diventa regime li mette fuorilegge (l’ultimo esempio e’ l’Ungheria, dove il partito Socialista e’ sottoposto a processi politici), ed e’ per questo che esso e’ un grande maestro di satira: la satira e’ essenzialmente moralista e autocelebrativa, punta a criticare tutti tranne cio’ da cui e’ originata, ed e’ fondamentalmente portatrice sana, quando spalleggiata da poteri forti, di arroganza e di vilipendio, e spartisce questo ruolo con la cronaca scandalistica, della quale e’ amica stretta, come il potere col denaro. Essendoci dunque tutti i sintomi, non c’e’ proprio da stupirsi di come vanno le cose in Europa. La verita’ e’ che non siamo stati educati abbastanza, la democrazia non ancora entra nel cervello feudale di molti.