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sabato 22 giugno 2013

Riflessioni #5: certe morti

Ed eccoci qua, ancora come quando si aveva otto anni e ci si spaventava dell’ombra che veniva dal lampione di fuori di camera di mamma, che la pareidolia faceva sembrare un diavolo pronto a mangiarti quando dormivi, e io quella camera la volevo, ne avevo bisogno, di quella camera, voi lo sapete quando uno ha bisogno di una camera, e i demoni con i loro bisogni demoniaci non lo sanno ma io devo sopravvivere anche stanotte perche’ domani c’ho da fare, devo andare a vedere un film al cinema e pensare a qualcosa da scrivere, magari finire il racconto che sto facendo o scrivere una poesia oppure iniziare qualcosa d’altro oppure semplicemente parlare in chat con quegli amici di Facebook che anche se per il momento sono virtuali sono comunque amici tua, e gli amici tua so tua, te li devi tene’ stretto che se li perdi la vita e’ troppo grande senza reti a contenerla, senza la Rete a contenerla. C’e’ che oggi mi hanno solamente raccontato dell’Esorcista e io mi sono spaventato all’idea che qualcun’altro si fosse spaventato, pensando di andare a dormire tranquillo dopo averlo tranquillizzato, razionale come sono, a riguardo dell’inesistenza della possessione ma, problema grande, a me piace un sacco credere che quanto dica sia falso dato che e’ logico, razionale e soprattutto perche’ lo dico io, e io quando ho ragione non mi credo mai, cosi’, per principio. E quindi il film di oggi e’... no, non e’ l’Esorcista, e’ Whatever Works, tradotto in italiano con un azzeccato “Basta che funzioni”, e io sto cercando qualcosa che funzioni per andare a dormire, sperando che picchiettare sui tasti del mio Chromebook - mai visto un computer cosi’ indie e cosi’ economico e cosi’ Google - funzioni, cosa che in realta’ credo poco visto che mi sento le gambe’ un po’ molli un po’ friccicanti, e mi viene in mente di alzarmi come Larry David (protagonista) e urlare “L’orrore! La morte! L’orrore!” perche’ ora come ora mi vengono in mente, la morte e il suo orrore, quella nonesistenza che fa paurissima perche’ sta li’ e tu non puoi farci niente, pero’ se viene che c’hai meno di 87 anni ti da parecchio fastidio e ti fa venire i capezzoli rigidi e il vuoto sullo sterno. E come la risolvi, la morte, e’ un tema del quale non mi sento neanche di parlare, visto che la risoluzione non appartiene a questo mondo, mi piacerebbe pero’ non finire ora, a me, e chissa’ quando non sara’ piu’ ora, e insomma e’ una di quelle notti che ti viene da pensare al cambiamento, che la morte altro non e’ che cambiamento, sara’ che in due giorni lascio la mia casa di ‘Merica e in quattro la mia seconda terra di ‘Merica e poi ci sara’ un breve scalo in Crucchia e poi dritti nelle braccia infide del Bel Paese, dove non so neanche che cosa dire a chi mi verra’ incontro chiedendomi speranzoso ma segretemente annoiato di ‘Merica. Ohibo’, dovrei tentare di dormire, dite voi, dico io, dicon loro, ma io a loro non e’ che gli credo tanto, cosa succede se muoio nel sonno? Ho sempre pensato che sarebbe una morte desiderabile, nel sonno, pero’ mi rendo conto che in realta’, a me, piacerebbe morire in piedi, come diceva Vespasiano che correva l’anno settantaequalcosa dopocristo. Tanto per divertire qualcuno con i miei sproloqui pre-mortem tipo questo.

domenica 16 giugno 2013

Quell'impressione negativa

A volte ho come l’impressione che per essere un regista di culto tu non debba fare altro che fare la stessa identica cosa in ogni tuo film. In certi casi, lo si chiama stile, in cert’altri si chiama canone, nel mio caso si chiama noia. Voglio dire, che un regista facendo cosi’ diventi di culto e’ normale, visto che rappresenta una fetta di mondo, una visione, che certamente e’ interessante per qualcuno, per, a volte, un nutrito seguito di persone. E’ particolare, c’e’ chi si rispecchia in questa visione ma, d’altro canto, puo’ essere considerata un’opera di valore una copia, qualcosa che rifletta la creativita’ messa in atto? C’e’, questa creativita’? Ah, ma io sono convinto, convintissimo che il regista (o lo sceneggiatore, o il fumettista) lo sappia bene, di star facendo la stessa cosa; sta con l’acqua alla gola, la casa di produzione pressa, i finanziatori pressano, i fan(atici) pressano, gli pignorano la villa a Beverly Hills se non lo fa, ‘sto film. Altre volte, sono ottimista, guardo a come questo tizio riesca a fregare tutti, e mi dico che io di cinema non ne so niente, che non ho visto abbastanza film, che non ho studiato abbastanza - che poi e’ vero. Paradossalmente, mi piace Woody Allen. Perche’ lui non se la tira, l’ha sempre detto di non essere un genio, fa un film all’anno, lo deve sparare, lui, il film, come le pugnette, gli serve per fare training autogeno. E forse mi piace anche perche’ in fondo in fondo sono un fan, mi ci rivedo in lui e sono ascrivibile alla categoria di cui sopra. Quindi (promemoria per me) quando parlo con un geek di quanto Superman di Snyder faccia pieta’, devo ricordarmi che anche io, se mi toccano Allen, tendo a dare in escandescenze, anche se magari non le urlo in Klingon, ma che, effettivamente, la colpa non e’ neanche di Snyder, lui poverino aveva bisogno di pagare l’affitto, senno’ doveva traslocare a Madera Heights e li’ e’ pieno di neri. La colpa, spiace a dirlo, e’ di Superman. Superman ha lo stesso problema del regista di culto di cui sopra - e’ noioso.

P.S. tutti i riferimenti a Los Angeles mi sono venuti in mente guardando This Is The End, un film decisamente migliore.

sabato 15 giugno 2013

E' la loro, di miseria

Il Contadino, di W.D. Ehrhart (trad. Vagabond, per l'originale qui)

Ogni giorno, io vado nel campo
a vedere cio’ che cresce
e cio’ che dev’esser fatto.
Sempre lo stesso: niente
cresce, tutto dev’esser fatto.
Ara, erpica, zappetta, innaffia, prega
Finche’ le mie ossa fan male e le mani le sfrego
nude dal sangue di onesto lavoro -
quel che cresce e’ solo la lenta,
intransigente intensita’ del bisogno.
Ho piantato il mio seme su un suolo
dalla miseria promesso al fallimento.
Ma io non mi lamento, tranne che
a passanti che mi chiedono perche’
lavori una cosi’ grama terra.
Non mi avrebbero capito,
se mi fossi chinato a prendere un sasso
e stringerlo come un bimbo, o riso,
o loro detto che e’ la loro, di miseria,
che io fatico per mitigare. Per loro,
Io mi lamento. Un contadino di sogni
sa come fingere. Un contadino di sogni
sa cosa vuol dire, essere paziente.
Ogni giorno, io vado nel campo.

lunedì 10 giugno 2013

Tragedie da poco - una ballata

Marco guardava la sera
Maggio di due anni fa
Contemplando, non stupito,
d’ammazzarsi la volonta’.

Le unghie gli dissero
di smettere, morse abbastanza
piccolo lo stomaco che fosse
la fame era tanta.

Pensava a Giorgia
Alle povere labbra
che arricchir non potra’
nulla resta, nulla basta.

E poco rimase di loro
poca era la voce
cosi’ tacquero
E fini’ la cosa.

Venne la guerra e Marco parti’
lasciando solo un pensiero:
E’ piu’ facile uccidere
che amare per davvero.

lunedì 3 giugno 2013

Riflessioni #4: le Coppie

Uscire insieme da giovani e’ un comportamento illogico, ero tentato di dire che “io sinceramente non capisco chi esce da giovane” ma visto il precedente post non l’ho fatto e mi sono anche detto che li capisco benissimo, un ragazzo e una ragazza che passano del tempo insieme baciandosi e dopo un po’ avendo dolci rapporti sessuali, lo fanno per il piacere dello stare insieme, per le endorfine, perche’ si piacciono, ma il problema e’ che in realta’ lo sanno bene che finira’. O non lo sanno, tentano di non saperlo, ma in fondo e’ molto difficile non saperlo, e’ una verita’ dismessa, una bugia (ci amiamo) che nasconde una consapevolezza (non lo facciamo che per noi stessi) che giunge alla naturale conclusione (quando saremo soddisfatti ci stancheremo, e una volta stanchi ci lasceremo). Ecco, io non riesco a vivere cosi, come si fa a vivere cosi’? Anche io desidero stare insieme a qualcuno, molto, ma non riesco ad attribuire alla relazione amorosa un valore valido se in fondo poi finisce, mi piacerebbe molto essere quel tipo di persona che si rende conto di cio’ e con un libertino fatalismo ci prova lo stesso, magari adducendo anche la scusa perbene che serve per fare esperienza, ma ho capito che non lo sono; se prima pensavo che dovevo dare ad un partner un ideale di futuro in modo da illuderci entrambi a sufficienza, adesso mi rendo conto che come prima cosa io non voglio illudermi, e soprattutto che sono io a dover sentire quel senso di futuro, non il mio partner - non sono nella sua testa, una volta pensavo di essere nella testa di tutti, ora non piu’, meglio, anche se mi piaceva. E quel che e’ peggiore e’ che io questo bisogno lo conosco e non mi piace, perche’ va contro tutti i miei principi, anche estetici: e’ un bisogno reazionario, quello della monogamia, quello della stabilita’, e l’istinto contro il quale combatto ogni giorno, eppure si ripresenta con costanza in come agisco, nel mio subconscio, nei miei blocchi che sono reali e non lo sono, sono composti di sovrastrutture moraliste e non sono pero’ considerati intimamente sbagliati, ne’ da me ne’ dagli altri, almeno in linea di principio. Mi viene da pensare ad un altro grande reazionario, Nanni Moretti, quando in “Bianca” lui le dice, a Bianca, che non possono stare insieme, perche’ poi si lasceranno, come tutte le coppie che il protagonista Michele conosce, monitora e “stalka”, e mi identifico moltissimo in questo, in questa sua miseria, lo dice quasi piangendo, Michele, e lo sai che in quel momento, ma solo in quel momento, sarebbe da ammazzarsi. E invece no, si vive, e si diventa come Niccolo’ Contessa, aka I Cani, che fa una canzone come Le Coppie, mettendoci anche una canzoncina pop con la tastierina pop che piace ai tipi pop che non capiscono quanto poco pop la situazione sia.

domenica 2 giugno 2013

E' meglio capire (Ignorance is doom)

A volte si va d’accordo con quello che, ad un certo punto, usa la figura retorica del “e sinceramente non capisco chi”. Il chi che viene dopo e’ sempre qualcuno con un comportamento non approvato da chi parla, considerato bizzarro da lui e dalla sua audience, come, non so, lavarsi i denti prima di andare a cenare. Io considero questo tipo di approccio retorico un vilipendio continuo non solo alla persona che non viene capita, ma anche all’intelligenza di chi parla: non capisci chi si lava i denti prima di andare a cena? Probabilmente sei un decerebrato che pensa che l’unico comportamento logico adottabile sia il tuo, senza capire che in realta’ ogni tipo di comportamento e’ sviluppato attraverso la logica. Non e’ detto che possa partire da una base logica, ma sicuramente ha senso nella mente di chi lo attua, il che vuol dire che se non hai l’empatia di un comodino potresti capirlo anche tu.
La persona che si lava i denti prima di andare a cena puo’ volerlo fare perche’ pensa di risultare piu’ fascinosa se il suo alito e’ fresco, nel caso di un appuntamento galante, o potrebbe voler avere la bocca libera da ulteriori sapori in modo da degustare meglio il cibo, oppure ha semplicemente una “fisima”, un complesso, per il quale ogni volta che esce di casa si deve lavare i denti, perche’ magari la mamma quand’era piccolo gli ha insegnato cosi’ o perche’ trova indecente il contrario. Puoi benissimo capirlo. Il problema ovviamente non risiede nel tipo che si lava i denti prima di andare a mangiare, ma si ripresenta - il problema - quando ci sono atteggiamenti piu’ seri che possono influire con la societa’. Cosi’ non si capiscono le donne e gli immigrati, ma non si capiscono neanche i violentatori e i fascisti, e cio’, checche’ se ne dica, non e’ mai bene, dato che ogni essere umano necessita di comprensione e di qualcuno che lo capisca, non che lo approvi, badate bene.
Eppure pare che il contrario faccia piu’ presa: chi non capisce niente, chi dichiara quasi con orgoglio di non capire certe persone, fa un danno a se stesso, a quelli che lo seguono e alla comunita’ tutta attraverso di se’, ma sembra essere la figura dominante in certa cultura italiana, politica e non, persino giudiziaria. Continuamente si sente “io sinceramente non capisco gli stupratori”, “io non capisco i disonesti”, “io non capisco la gente che c’ha in testa”, ma probabilmente se ci si sforzasse di capirlo, “la gente che c’ha in testa”, ci si ritroverebbe a dover pensare troppo, a trovarsi anche un po’ al posto di quelli che tentiamo di capire, magari molto simili a molti criminali, e si realizzerebbe che e’ solo per caso che loro sono li’ e noi siamo a giudicarli.
Mi vengono in mente le lezioni di umanita’ che faceva il buon vecchio Faber, che in quella volta in cui scrisse una canzone con De Gregori produsse La Cattiva Strada, dove tutti, improvvisamente, capiscono lo sconosciuto, e quando capiscono lo sconosciuto capiscono anche se stessi. Forse il senso della canzone e’ anche un altro, pero’ questo e’ uno e mi piace pensare che La Cattiva Strada significhi anche questo. Capito?