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venerdì 1 novembre 2013

In memoria

La morte ti destabilizza. L’attimo preciso in cui ci si rende conto che esiste un’altra dimensione, un’altro posto completamente ignoto a quel che conosciamo e completamente invalicabile dalla dimensione umana, allora si ha paura. I nostri valori chimici si alterano, si inizia a diventare ansiosi e frenetici, aggressivi e depressivi, i nostri difetti si amplificano quasi come se ci fosse una reazione distruttiva, un’unica possibile reazione alla morte. La morte rappresenta la distruzione suprema. L’annichilimento dell’essere, la fine di ogni cosa pensata e di ogni azione, la staticita’ finale, lo stato in cui tra 10 alla 100 miliardi di anni l’universo verra’ a trovarsi dopo che anche i buchi neri si saranno dissolti. Il tutto, ridotto alla mia povera piccola dimensione borghese, si riduce ad una sensazione borghese di nausea per un’occasione di morte altrettanto borghese: un gatto. Il giorno di Ognissanti, 1 novembre, antecedente al giorno dei Morti, successivo ad Halloween, il mio gattino rosso di due mesi, Romeo, e’ stato ridotto ad un ammasso di budella e interiora dal corpo contundente di un copertone di gomma rotante a velocita’ tra i 20 e i 40 km orari, i suoi ultimi secondi sono probabilmente stati gli ignari secondi di paura istintuale che precedono qualcosa che ti viene contro, o forse sono stati quelli di chi sta semplicemente guardando un albero e non fa neanche a tempo ad accorgersi del rumore del motore e della luce dei fari accecante e di questi pneumatici, rrr rrr rrr, che vengono verso di te. E poi, piu’ il nulla. La macchina si sara’ allontanata nel giro di pochi secondi, non notando, oppure, forse in una situazione ancora peggiore, il padre di famiglia avra’ sussultato e la madre di famiglia avra’ esclamato un poverino! gettato al vento, o forse entrambi erano troppo impegnati a scherzare con la nonna, sul sedile posteriore, che parlava dei vecchi denti d’oro dello zio, di ritorno dal cimitero. Diventiamo storia, ed e’ triste e incredibile quel che diventiamo; diventiamo un canto uscito dalle bocche dei cari, ma in realta’ non diventiamo, ma semplicemente svaniamo nelle parole, ripetute e poi ancora ripetute, della gente.
Romeo e’ morto di curiosita’. Le prime parole che sono riusciti a pronunciare i miei genitori era che non aveva nessun motivo di allontanarsi: aveva il cibo, aveva acqua, aveva un giardino, un garage e una cuccetta di cartone. Eppure, Romeo forse sentiva la puzza della morte ancora piu’ di quanto noi la sentiamo, alienati come siamo in queste vite giornaliere. Esce, e cerca, scruta i dintorni spinto da una forza che lo esalta e lo trascende; rischia, e perde. Eppure, forse era piu’ serio di tutti noi, questo cucciolo. Ho sempre l’idea che non esista un momento in cui noi non siamo in fondo al cuore coscienti della morte, pero’ rimaniamo sordi e ci chiudiamo in noi stessi, invece di cercare nuovi orizzonti ai quali sfuggirle. Entrambe le scelte sono superflue, ma una sola ha coraggio. E quindi, forse, Romeo ha fatto bene a morire.

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