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lunedì 25 novembre 2013

Oggettivare

Aveva conosciuto una ragazza. La chiameremo Giulietta. Giulietta aveva i capelli lisci e mori e gli occhi marroni, e aveva dei piccoli brufoletti sulle guance. Sorrideva furba e aveva delle opinioni. Aveva opinioni su tutto: dal rossetto rosso alle scarpe laccate, alle scarpe di pelle ai candidati alle primarie del principale partito politico di centrosinistra. Amava leggere, scrivere e far di conto. Ascoltare musica, metal britannico e indie rock italiano. Era alta piu’ o meno sul metro e sessantacinque, con poco seno ma con un gran cappotto rosso a coprirlo. Le piacevano i maglioni e le sciarpe, e aveva fatto danza classica. All’Accademia Nazionale. Solo che poi aveva mollato, voleva fare la politica e studiare sociologia. Era una ragazza attiva. Sperava che fosse anche curiosa. Era piu’ piccola di lui, di un anno, ma le distanze non erano insopportabili. O rilevanti. Adesso la stava oggettivando, scrivendone. Serve a questo, scriverne: fissare le persone e i ricordi nel tempo, esorcizzandoli, sacralizzandoli, alienandoli, forse perdendoli. Ma lui non voleva abbandonarsi alla sua propria dimensione tragica, in quanto non ce n’era alcun bisogno. “Chi pensa di perdere e’ sconfitto in partenza”, diceva Napoleone, non che gli fosse molto simpatico, Napoleone, pero’ certo era uno autorevole, tanto che non viene mica ricordato per le vittorie, ma per le poche volte in cui e’ stato sconfitto. Lui sperava tanto che lei fosse una persona curiosa, una di quelle che si mette in gioco, pero’ anche una ragazza che, in segreto, provasse a tendere al sublime, un sublime assolutamente terreno e sensista, ma aereo nella sua essenza. La conversazione per l’uscita per l’indomani a causa della quale si sentiva ansioso e quindi bisognoso di scrivere era avvenuta nella maniera piu’ normale e indolore, quindi in una maniera a suo modo completamente nuova. Vogliamo vederci? Si, alle 16. Alla stazione? Si. Ti piace leggere? Adoro leggere. Quindi si andava in libreria, a sentire gli scaffali respirare, poi chissa’, un caffe’, un negozio di dischi. Avrebbe dovuto regalarle qualcosa? Presentarsi con un regalo sarebbe senz’altro stato eccessivo. Pero’, se le piaceva qualcosa, non si sarebbe risparmiato a comprarlo. Il potere monetario stranamente non gli mancava, gestiva bene la sua neoacquisita ricchezza, sperperandola poco alla volta. Desiderava non svegliarsi male il giorno dell’incontro. Se si fosse svegliato male, tutta la giornata avrebbe rischiato di finire in una sordina di confusione, compreso un compito di filosofia che non poteva fallire. “Cos’e’ la felicita’?”; questo il tema. E lui lo sapeva cos’era, la felicita’: lei.

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